Quando nonno Pino gli aveva messo in mano il coltello, la prima volta, Nuccio aveva chiuso gli occhi. Per esser certo che il bambino non si tirasse indietro, il nonno gli aveva avvolto la mano con la sua, gigantesca e nodosa come un tronco di vite. Nuccio tremava, prima di allora non aveva mai ucciso. Il belato del capretto era straziante. Nuccio non guardava, sentiva il manico del coltello stretto nel suo palmo fino a fargli male e i muscoli del corpo paralizzati.
Temeva di pisciarsi sotto da un momento all’altro. Puntò i piedi, nonno Pino lo spinse da dietro e lo fece avvicinare all’animale, che non si dava per vinto, poi gli ordinò “vai!”. Guidandolo con la sua mano ferma infilò il coltello dritto nella gola della bestia. Il sangue schizzò, il capretto non emise più alcun suono. Il colpo di Nuccio era stato preciso e fatale. Gli altri intorno, mamma, papà, zii, cugini e vicini di casa, iniziarono ad applaudire. La festa poteva cominciare, urlavano e ridevano. Nonno Pino alzò in aria il braccio del bambino che ancora afferrava il coltello insanguinato, in una risata forzata.